Lucetto Ramella

LA FESTA DI SAN GIOVANNI AL PRINCIPIO DEL SECOLO
(dai ricordi di un vecchio Onegliese)
da Ineja 1984

Oh bel San Giovanni della mia età più verde, di quella età lontana in cui i sogni sembravano realtà e le feste di casa nostra lembi di paradiso in terra. Oh bel San Giovanni di un tempo andato, nitido mi riaffiori nel ricordo.
Come mi sovvengono i banchi variopinti della fiera della vigilia coperti dalla tenda colorata posti ai lati delle strade e fin sotto i portici a offrir tela di russi per far robusti pantaloni da lavoro, massicce scarpe chiodate coi laccetti di cuoio, larghi paracqua neri e tutte quelle altre cose che oggi non usano più.
E i dolci. I dolci, sogno di noi ragazzi. Il torrone croccante che legava i denti, cosparso di gherigli d’osso di pesca abbrustoliti, i fantini infilzati nel pezzetto di canna con la bandiera in cima, i sacchettini di mentini trasparenti…
E bambini. Bambini felici a soffiare instancabili nei loro scigorelli o con la bandoliera al fianco a sbrinzar acqua o a sparar capsule tonde di carta rosa con le loro pistole. I gridi di stizza al vedere il palloncino sfuggito di mano salire rapido nel cielo o restar imprigionato sotto la volta dei portici!

E i cantastorie dalle voci squillanti… Dove siete, o amici cantastorie vestiti di nero con la marsina e la tuba che vi contorcevate con l’allungarsi e il restringersi della fisarmonica?
E voi, rattrappiti offerenti di pianeti della fortuna che per due centesimi davate a tutti l’illusione di terni e quaterne e amore corrisposto, dove siete?
E tu, mangiatore di fuoco, e tu, Ercole, che col petto possente spezzavi le catene gonfiando i polmoni?
E voi, Onegliesi sparsi per l’Italia e per il Mondo sorretti dalla speranza, spesso realizzata, di tornare alla vostra città quel giorno benedetto, magari solo il tempo di portare un fiore ai vostri morti e di rivedere gli amici, per godervi la festa, punto di riferimento delle vostre giornate in terre lontane…
ll giorno di San Giovanni. La mattinata festosa, le funzioni, le passeggiate sul molo, l’assalto alle trattorie del mezzodì.
Ricordo la gente della Vallata col vestito delle feste odorante di spigo e la mandigliata portata dalle donne riversarsi ai giardini verso la Bocchetta.
L’uovo sodo con la presina di sale, i pezzi di coniglio ravvolti nel rosmarino, la bottiglia di nostrano, la tovaglia candida, il buon pane casereccio da tagliare a larghe fette col coltello affilato…
La processione solenne. Il suono festoso delle campane ad annunciarla. La gente assiepata dal piazzale della chiesa alla Crociera, sotto i portici.
L’intrecciarsi dei discorsi nella ressa, il riveder persone di cui da tempo non si sapeva nulla, la conoscenza di gente nuova presentata dagli amici.
Ma quanto lunga l’attesa!
Il muoversi infine. In testa i “Menestrén” col vestitino rosa per le bimbe celeste per i maschietti, il colletto inamidato e un giglio in mano, al canto del“pange lingua”. Ma quante soste prima di giungere alla Crociera!
Poi si parte veramente. Sfilano le statue che danzano sulle note della Banda cittadina.
Seguono le Confraternite, ciascuna con il proprio Cristo. Portatori famosi transitano fieri tra gli sguardi ammirati della gente.
Madri a lungo impassibili sotto il sole per veder sfilare i figli. Se li bevono con gli occhi, li indicano alle vicine. Più fiere quelle che hanno il figlio vestito da San Giovannino avvolto nella pelle dell’agnello, la zucchetta al fianco e i calzari legati con le fettucce bianche ai polpacci nudi.
ll Vescovo attorniato dal Capitolo che impartisce la benedizione alla folla genuflessa al passaggio.
La processione termina infine, le campane suonano a distesa, le mamme corrono a recuperare i figlioletti e offrono loro il sorbetto atteso per tutta la giornata.
Sul Rondò intanto ha inizio il concerto della banda del reggimento venuta appositamente da Genova. Tra i premi esposti nel rotondo padiglione della fiera di beneficenza quello di Sua Maestà che ogni anno a San Giovanni si ricorda della Civitas Fidelissima e manda il suo dono.
Si fa sera. Si accendono migliaia di lumini fatti con bicchieri colorati all’anilina e rudimentali palloncini di carta preparati in famiglia con dentro una candelina oppure un dito d’olio e lo stoppino.
Archi di luce dalla Crociera al Rondò, da Piazza Manuella alla stazione. La gente passeggia festosa e si avvicina sempre più al mare. E lì che avrà luogo la parte più spettacolare della festa.
Improvvisamente si odono scoppi assordanti e salgono alte le luci dei fùrgani. I più belli sono accompagnati da un oh! di ammirazione uscito da migliaia di bocche.
Sul molo di ponente girandole versano a bagno torrenti di luce, in fondo a via della Stazione gira una enorme ruota incandescente.
I fuochi di Oneglia sono famosi, gli Onegliesi ne vanno fieri. Il finale pazzo è sempre di enorme effetto: un susseguirsi di scie luminose che in un frastuono indescrivibile si avvitano nel cielo e si aprono a ombrello facendo ricadere brandelli di luce che si spengono nel mare.
Una serie di tre colpi, l’ultimo è micidiale, ne annuncia il termine. Si scatena, interminabile, il battimani. Anche quest’anno lo spettacolo è stato degno della tradizione.
Intanto sul molo di levante già ardono giganteschi falò alimentati dal ponentolo. La tradizione vuole che siano propiziatori e chi ne veglierà le ceneri fino all’alba vedrà il sole tuffarsi tre volte nel mare.
La festa è finita. La gente rincasa. Domani è un altro giorno e tra un anno sarà ancora San Giovanni.

Lucetto Ramella

 

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